Elogio funebre del Rubbi intessuto dal suo successore don Giovanni Maria Tiraboschi, trascritto sul registro parrocchiale dei morti il giorno stesso della sua morte (15.03.1785).
Il Molto Rev. don Giovanni Antonio reputatissimo per innocenza di costumi, per austerità di vita, per gravità ecclesiastica, per umiltà d’animo, per profusa liberalità, per zelo della salute delle anime, per indefessa assiduità al tribunale della penitenza, per santa energia nell’estirpare fin dalla loro radice i vizi, nell’annunciare la Parola di Dio in modo semplice, accomodato anche ai più rozzi fra il popolo, specchiatissimo esempio a tutti i rettori d’anime. Brevissimo e disagiato era il suo sonno, che voleva interrompere, qualora non ne fosse impedito da grave malattia, alla mezzanotte per recitare a Dio le Lodi mattutine, alle quali aggiungeva altre orazioni. Per tutta la Quaresima e l’Avvento e in altri giorni praticava un rigoroso digiuno. Ciò poi che soprattutto lo distinse fu la sua carità verso gli infermi ai quali accorreva sia di giorno che di notte senza alcun riguardo alla sua vecchiaia e alla sua malferma salute”. “Parve che Iddio – così scrive il Tiraboschi – gli avesse accordato la grazia delle guarigioni e tale potere sui demoni che presto la fama di lui si diffuse per tutto il mondo cattolico. Una moltitudine di gente, che accorreva a lui da ogni parte, andò di giorno in giorno aumentando per modo che nel 1772, per lo spazio di cinque o sei mesi si potevano computare ogni giorno fino a venti o trentamila persone che da diversi paesi e città si recavano a Sorisole.
E in tanta frequenza si ebbe a notare non solo gente ordinaria, ma spiccavano molte volte personaggi distinti, no-bili, di primo rango, d’ogni ordine e grado, vescovi e prelati. Tutte le vie che conducevano a Sorisole erano inondate da uomini e donne, da cavalli, da cocchi e infermi diretti, come dicevano, al ‘prevosto santo’.
Da questo concorso affluivano all’altare della Madonna, dove don Rubbi dava le benedizioni, abbondanti elemosine, che lui destinava alla chiesa e delle quali aveva fatta severa proibizione anche ai suoi domestici, sebbene poveri e indigenti, di accettare la benchè minima parte”. “Beati i poveri di spirito perché di essi è il regno dei cieli”.
Con l’esempio di Cristo ha insegnato che non bisogna cercare la gloria nell’ambizione umana; ha così fissato il principio della perfetta felicità nell’umiltà dello spirito.
Sicuramente don Giovanni Antonio Rubbi aspirò a cose modeste, memore della nostra umana natura, ad un tempo stesso con origini miserevoli ma destinata al possesso del regno celeste; la bontà con tutti lo portò a considerare comuni tutte le cose e così non si lasciò corrompere dal fasto del mondo, dall’avidità delle ricchezze e dall’ambizione della vanagloria. La vita del sacerdote Rubbi ci porta anche a fare un’altra riflessione.
Possiamo ben dire che la sua vita fu perfetta perché fu unione della Sapienza con la Fortezza. “Chi dunque prende il suo nome da Cristo che è ‘potenza di Dio e sapienza di Dio’ (1Cor 1,24), quando combatte valorosamente e con forza contro il peccato, condivide con Lui anche il nome di potenza; quando invece sceglie ciò che è migliore manifesta la sua sapienza” (Immagine perfetta del Cristiano, di San Gregorio di Nissa).
Infatti con la prima conosciamo chiaramente ciò che è retto e onesto; con l’altra mettiamo in opera e manteniamo ciò che abbiamo conosciuto doversi fare.