Cinque anni fa, alle 20.10 del 13 marzo 3013, veniva eletto papa Francesco. Si presentò alla loggia di san Pietro. Salutò e invitò al silenzio della preghiera. Poi, prima di impartire la sua benedizione alla sua città e a tutto il mondo, disse: “E adesso vorrei dare la Benedizione, ma prima vi chiedo un favore: prima che il vescovo benedica il popolo, vi chiedo che voi preghiate il Signore perché mi benedica: la preghiera del popolo, chiedendo la Benedizione per il suo Vescovo”.
Papa Francesco, fin dal primo istante del suo ministero petrino, ha sentito il bisogno che Dio lo benedicesse, lo proclamasse “benedetto”. Ci chiediamo:
- Cosa avrà detto Gesù a don Antonio Rubbi al termine della sua lunga vita sacerdotale durata 92 anni?
- Cosa gli avrà detto al termine dei suoi quasi 67 anni di vita sacerdotale?
- Con quali parole lo avrà accolto sulla porta del Paradiso?
Possiamo immaginare che lo abbia accolto con le parole che tutti speriamo un giorno di sentirci rivolgere dal Signore: “Vieni, benedetto, dal Padre mio, ricevi in eredità il regno preparalo per te fin dalla creazione del mondo”. Vorremmo sentirci benedetti dal Signore sia al momento della morte, sia durante la vita su questa terra. Le migliaia di fedeli che raggiunsero Sorisole nella seconda metà del Settecento, vennero per chiedere una benedizione a don Rubbi, che venne molto presto chiamato “Ol preost sant”. Diverse persone desidererebbero che questo titolo di santità, attribuito a don Rubbi dalla stima e dalla venerazione della sua persona, venisse riconosciuto e proclamato anche ufficialmente dalla Chiesa. Sono stati fatti già dei passi.
- Nel 1996 il vescovo, mons. Amadei aveva istituito una Commissione di Periti storici.
- La parrocchia di Sorisole ha fondato il Centro Studi don Rubbi.
- La ricerca di ulteriori testimonianze in altri Archivi è proseguita in questi ultimi anni.
Quali sono gli elementi che possono far procedere la causa di beatificazione di don Rubbi?
- Il riconoscimento delle virtù eroiche.
- La fama di santità: il fatto che molti continuino a riconoscere in lui segni di santità.
- L’attualità della sua testimonianza: il fatto che parli al nostro tempo, suscitando imitazione.
1. Don Rubbi, il parroco che benediceva
Frequentemente ai santi è stato abbinato un termine per indicare il loro stile particolare di santità.
- San Francesco è stato chiamato il Poverello di Assisi.
- San Tommaso d’Aquino è stato chiamato il Dottore Angelico.
- San Pietro Claver è stato chiamato lo schiavo degli africani.
- San Papa Giovanni XXIII è stato chiamato il Papa buono.
Perché don Giovanni Antonio Rubbi (29 settembre 1693 – 15 marzo 1785) è stato chiamato “il parroco santo”? Perché non è stato chiamato il parroco buono, povero, generoso, umile?
Uno dei più bei ritratti di don Antonio Rubbi è quello che si trovava nella sacrestia della vostra Chiesa ed ora è custodito nel Centro Studi. Si tratta di un dipinto fatto con probabilità da Giovanni Peverada, un pittore nato a Ponte san Pietro nel 1742 e quindi contemporaneo di don Rubbi. Nel quadro viene rappresentato don Rubbi che con la mano sinistra indica il Crocifisso e la vergine Maria che tiene in braccio Gesù Bambino, come per orientare il nostro sguardo e la nostra attenzione sul centro della nostra fede. Nella mano destra don Rubbi tiene in mano l’aspersorio, posto accanto al secchiello con l’acqua santa, che viene usata per dare le benedizioni. Lo conferma anche il suo successore, don Giovanni Maria Tiraboschi nell’elogio funebre, dove dice: “All’immensa moltitudine di gente, che mossa dalla sua fama, stringevasi intorno a lui, annunziava la divina parola fino a tre volte al giorno con gran frutto delle anime, e sempre alla fine del discorso aspergeva il popolo con acqua benedetta”. Perché moltissima gente veniva a Sorisole per incontrarlo? Perché desiderava ricevere da lui una benedizione. Ol preost sant è stato un parroco che benediceva.
– Cosa significa che benediceva?
– Cosa si aspettava la gente da lui?
– Quali benefici la gente ha ricevuto, al punto che l’efficacia delle sue benedizioni andò a incrementare la sua fama di santità, fino a coinvolgere cardinali, vescovi, parroci e religiosi, nobili e principi, gente malata e persone povere? Fino a coinvolgere persone che giungevano da Cremona, Crema, Lodi, Milano, Genova, Torino, Pavia, Firenze, ma anche dalla Svizzera. Nel periodo maggio-ottobre del 1772 sul registro delle messe risultano celebrate dalle quaranta alle cinquanta mese ogni giorno.
Non è facile rispondere a queste domande. Una cosa è certa: don Rubbi ogni giorno, dopo aver predicato, scendeva dal presbiterio e si metteva all’altare della Madonna per benedire.
2. La benedizione nella vita cristiana
L’invito a benedire caratterizza tutta la vita cristiana. Lo ripetiamo ogni volta che recitiamo l’Ave Maria, con le parole dette da Elisabetta nel momento della Visitazione: “Tu sei benedetta fra le donne e benedetto è il frutto del tuo seno Gesù”.
- Perché Maria è benedetta? Perché porta nel suo grembo Gesù, il benedetto.
- Perché Gesù è benedetto? Perché porta Dio Padre nel suo cuore, nei pensieri, nelle scelte.
Noi cristiani facciamo benedire tante cose.
- Le abitazioni: l’oratorio, la casa, il negozio, la scuola, l’ospedale
- Gli oggetti: l’automobile, la corona del rosario, l’acqua, il cibo, le campane, il fuoco.
- Le persone: i bambini, gli ammalati, gli anziani, gli sposi, i pellegrini, i defunti.
Nella eucarestia è frequente il richiamo alla benedizione.
- Al Gloria: “Noi ti lodiamo, ti benediciamo, ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa”.
- All’offertorio: “Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo…”. Rispondiamo: “Benedetto nei secoli il Signore”.
- Al Santus: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore. Osanna nell’alto dei cieli”.
- Al termine della messa: “Vi benedica Dio Onnipotente…”.
- Alle lodi: “Benedetto il Signore, Dio di Israele, perché ha visitato e redento il suo popolo”.
- Dopo la benedizione eucaristica: “Dio sia benedetto. Benedetto il Suo santo Nome”.
Se benedire è tipico di ogni cristiano, perché le benedizioni di don Rubbi attiravano tanta gente? Qualche scettico ha affermato che la gente cercasse don Rubbi perché lo riteneva un santone che faceva miracoli, che incrementava la superstizione e quella religiosità immatura che ricerca il prodigioso e il sensazionale. Ritengo si debbano cercare ragioni più profonde. Dove stava la sua santità? Consisteva nell’essere un uomo di Dio, nell’essere un uomo benedetto da Dio.
Non tutti sono capaci di benedire. Ci sono persone che maledicono, cioè che dicono male: criticano il prossimo, disprezzano le scelte degli altri, diffondono maldicenze e calunnie.
Il cristiano che benedice, è colui che dice bene, valorizza gli aspetti positivi degli altri, ringrazia per ciò che di bene c’è negli altri. Lo sa fare colui che possiede lo Spirito Santo, cioè che possiede l’amore, che possiede lo sguardo di Dio. Benedice chi è benedetto. Chi è benedetto?
1. E’ benedetto chi agisce con carità
Nel vangelo di Matteo Gesù pronuncia parole di benedizione nei confronti di coloro che nella vita hanno saputo servirlo nei fratelli poveri, sofferenti, soli, smarriti: “Venite, benedetti dal padre mio, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a visitarmi”. Don Rubbi, prima che un parroco che benediceva i fedeli, è stato un parroco benedetto da Dio, perché ha vissuto le sette opere di misericordia corporale e spirituale.
Don Rubbi ha sempre pensato ai poveri. Come ha riconosciuto la Commissione storica istituita dal vescovo Amadei nel 1996, nonostante ricevesse molte offerte straordinarie dai fedeli per le benedizioni, non tratteneva nulla per sé, ma affidava tutto ai fabbriceri perché lo amministravano autonomamente.
2. E’ benedetto chi benedice Dio
Nella vita di don Rubbi vi furono moltissimi momenti di preghiera. Di notte e di giorno stava in compagnia di Gesù. Lo lodava, lo ringraziava, si consegnava a lui con amore. Sapeva benedirlo nelle situazioni facili e nelle situazioni difficili, attuando le parole di Giobbe: “Il Signore ha dato, il Signore ha tolto. Sia benedetto il nome del Signore”.
Il ministero della benedizione fu croce e delizia per don Rubbi. Se per un verso attirò a lui molti fedeli, per un altro verso attirò verso di lui anche sentimenti di gelosia e di disprezzo. Alcuni medici guardavano con diffidenza i rimedi empirici con cui cercava di mascherare gli effetti prodigiosi delle sue benedizioni e di stornare l’attenzione da sé, consigliando l’amministrazione di intrugli a base di acqua e pepe. Alcuni preti di tendenza giansenista non accettavano la troppa misericordia con cui accordava l’assoluzione a chi si confessava. Il 28 agosto 1772 il vescovo Redetti gli vietò di benedire. Ma quando lo stesso vescovo si rese conto di essere stato sollecitato da persone intriganti e maldicenti, a distanza di 78 giorni, il 14 novembre 1772, annullò l’interdetto del 28 agosto, permettendo nuovamente a don Rubbi di benedire. Don Rubbi obbedì umilmente e immediatamente. Non disse mai male dei suoi superiori.
3. E’ benedetto chi accoglie Cristo, il Benedetto
Chissà quante volte don Francesco avrà benedetto Maria recitando il rosario e dicendo: “Tu sei benedetta fra le donne e benedetto è il frutto del tuo seno Gesù”. Da questa ha imparato ad accogliere nella sua vita il Benedetto, Gesù. E ha imparato, come gli apostoli, a vivere benedicendo: “Non rendete male per male, né ingiuria per ingiuria, ma al contrario rispondete benedicendo; poiché a questo siamo stati chiamati per avere in eredità la benedizione” (1 Pt 3,9).
Il Vicario generale di allora, mons. Giuseppe Rovetta, suo grande estimatore, scrisse di lui: “Severissimo il modo del suo vivere; il dormire brevissimo, ed ora sopra un asse con un poco di foglie d’albero, ed ora sopra uno stretto saccone di paglia… Leva di mezzanotte a recitare il mattutino con fare più lunga orazione… E’ solito impiegare tutte le ore in orazione, studio ed opere di carità. È uomo lontanissimo dall’interesse, generosissimo dove si tratta di carità, e spende assai, massimamente nel provvedere del suo i medicamenti a poveri infermi, ai quali anche prepara e porta il vitto”.
Paolo VI ha concluso la sua esistenza terrena benedicendo.
“Ora che la giornata tramonta, e tutto finisce e si scioglie, sento il dovere di ringraziare e di benedire. Siano benedetti i miei degnissimi genitori. Siano benedetti tutti quelli che ho incontrato nel mio pellegrinaggio terreno. Prego il Signore che mi dia la grazia di fare della mia prossima morte dono d’amore alla Chiesa. La Chiesa: sempre l’ho amata… Per essa, non per altro, mi pare di aver vissuto. Ma vorrei che la Chiesa lo sapesse; che io avessi la forza di dirglielo, come una confidenza del cuore, che solo all’estremo momento della vita si ha il coraggio di fare. Vorrei abbracciarla, salutarla, amarla, in ogni essere che la compone, in ogni vescovo e sacerdote che la assiste e la guida, in ogni anima che la vive e la illustra; benedirla. E tu, Chiesa benedetta: abbi il senso dei bisogni veri e profondi dell’umanità; e cammina povera, cioè libera, forte e amorosa verso Cristo” (PAOLO VI, Pensiero alla morte).
Il card. Ratzinger durante la messa funebre per il funerale di Giovanni Paolo II, al termine dell’omelia disse: “Padre santo, benediteci dalla finestra del cielo”. Noi diciamo: “Don Rubbi, benediteci dal cielo”.