Don G. Antonio Rubbi è sempre stato per me quasi un patrono secondario di Sorisole. La sua tomba, nella chiesa di Sorisole, meta di numerose preghiere d’intercessione, mi ricordava una storia ormai lontana nel tempo, eppure ancora attuale. Nella mia vita, don Rubbi è entrato in modo vigoroso, quando all’età di 8 anni, i medici disperavano di guarirmi da un’epatite. Durante una notte travagliata, la situazione era decisamente peggiorata: si pensava come ultima possibilità ad un trasferimento d’urgenza a Milano. Mia madre in quel periodo aveva chiesto ripetutamente al Signore, per intercessione di don Rubbi, la grazia della mia guarigione. Sul comodino dell’ospedale c’era sempre la sua immaginetta con il suo volto, che a taluni sembrava severo. A me ha sempre dato l’impressione di uno sguardo ammiccante, quasi che dicesse: “Tranquillo, è tutto sotto controllo…”.
Al mattino il medico tranquillizzò mia madre: “Non c’è più bisogno del trasferimento: i valori del sangue sono tornati normali, inspiegabilmente… Meglio così!”.
Da adulto e da prete, ho riscoperto e rivalutato altri aspetti di don Rubbi. Da piccolo, mi affascinavano molto le storie delle folle che arrivavano a Sorisole, le testimonianze di chi raccontava quello che aveva ottenuto con la sua benedizione. Mi emozionava molto pensare al nostro sagrato pieno di carrozze e di cavalli, di gente che si accalcava. Ora apprezzo molto di più la santità di vita che don Rubbi ha saputo condurre, una santità legata a doppio filo alla vita sacramentale (Confessione, Eucaristia), alla preghiera, alla povertà. E pensando a ciò, sento che il suo sguardo ammiccante mi dice: “E allora, visto che non attiri le folle, cerca almeno di imitarmi in questo!!”.