Omelia di S.E. Mons. Maurizio Gervasoni, vescovo di Vigevano
Abbiamo ascoltato la Parola di Dio e la vogliamo comprendere alla luce della figura di don Rubbi. Il percorso della causa di beatificazione di don Rubbi deve costituire per noi un impegno che ci costringe benevolmente ad imitare colui di cui chiediamo la Beatificazione.
Chiediamo la Beatificazione perché sta a cuore anche a noi, perché la consideriamo importante. E’ la cosa che rende Beata tutta la nostra comunità. Chiedere la Beatitudine di una persona è vero, è giusto solo se noi riteniamo che ciò che rende Beata questa persona, rende Beata la vita di chiunque, perché la rende semplicemente evangelica. Questo è il senso della nostra vita: la beatificazione di un testimone della fede è una professione di fede della Comunità prima ancora della persona di cui si tratta.
Permettetemi di sottolineare in ordine alla santità un aspetto molto caro a Papa Francesco: è il sensus fidelium, cioè il sentire dei fedeli. La Santità del Vangelo non deve richiedere troppa competenza specialistica, troppa intelligenza teoretica, deve essere qualcosa che parte dal cuore, perché deve cambiare la vita. Deve essere qualcosa che assomiglia a Gesù. “Ti ringrazio Padre che hai rivelato queste cose ai piccoli, non ai dotti, ai sapienti.” L’attività della vita, la bellezza della vita non può essere qualcosa di raggiungibile solo dai più dotati, deve essere qualcosa di raggiungibile da chiunque e, quindi, deve toccare la profonda semplicità della esperienza che ciascuno vive. Tutto ciò si traduce nella vita della Chiesa, cioè in quella sensazione per cui noi percepiamo in quell’episodio, in quella parola, in quella celebrazione, in quel gesto come ciò in cui accade qualcosa di grande.
Con la figura di don Rubbi abbiamo conferma di questo “sentire” semplice e profondo già per il fatto che Don Rubbi veniva soprannominato dalla gente “Ol Prevost Sant”. Venivano in centinaia, in migliaia e non erano persone che avevano studiato. Lo sentivano e capivano che questo uomo aveva qualcosa di diverso. Facile viene il riferimento al vangelo in cui si dice che Gesù parlava con autorità, non come gli Scribi ed i Farisei. Costoro parlano intelligentemente, ma non con autorità, non toccano la vita, invece questa persona sì. La figura di Don Rubbi ha catturato il sensus fidelium.
E’ il cuore del Vangelo. Egli lo ha interpretato e testimoniato in maniera molto forte, attraverso i gesti buoni che compiva, gesti che avevano al centro l’amore di Dio, le sue preghiere, le confessioni, la carità casuale, le guarigioni, la vicinanza ai malati, ai poveri. Lo stile di vita è la testimonianza profonda e autentica di questa persona. Lo stile di vita non è conseguenza di studi teorici, ma di intuitiva percezione di qualcosa di grande e di credente definizione di qualcosa di beatificante.
Noi siamo stati creati per una cosa molto semplice: fare la volontà di Dio e questa cosa ci dà beatitudine. Tutto ciò, però, è sentito, non solo come negativo, non desiderato, trascurato, ma addirittura osteggiato da coloro che di professione dovrebbero favorirlo. Questo è il dramma dell’uomo che in questo tempo di Quaresima ci viene costantemente presentato da Don Rubbi. Noi siamo fatti per Dio, ma facciamo di tutto per dimenticarlo e coloro che dovrebbero aiutarci ad andare verso Dio, ci perseguitano.
Ciò trova conferma proprio nei testi biblici che abbiamo ascoltato. I nemici del Profeta dissero: “Venite, tendiamo insidie contro il giusto, perché la Legge non verrà meno ai sacerdoti, né consiglio ai saggi, né la parola ai profeti.” Come? Non sono i sacerdoti che dovrebbero indicare che il giusto effettivamente richiama ad osservare la legge di Dio? Invece il testo indica che la voce dei sacerdoti, dei saggi e dei profeti darà ragione a chi fa il male contro il giusto. Essi dimostreranno che la legge di Dio è con loro. E’ uno sconvolgimento dall’interno, ma succede così. Possiamo parafrasare così il Profeta: “Voi state offendendo la legge di Dio, perché la simulate, ma non la osservate. Continuate a venire al tempio, a far sacrifici, poi rubate ed avete altri culti che non sono quelli del Signore. Credete che il Signore stia a guardare i vostri sacrifici, quando lo disonorate nella vita? Ebbene il Signore vi abbandonerà”. I sacerdoti dicono: “Tu parli contro il tempio di Dio, il Signore ti maledirà”. Ecco lo scontro che nasconde l’ipocrisia: invece che accettare la sfida della conversione, zittiscono il Profeta e lo fanno in nome di Dio. Sconvolgente!
Nel Vangelo che abbiamo ascoltato si dice di Gesù: “…mentre saliva a Gerusalemme…”. Poi, più avanti, si dice: “…saliamo a Gerusalemme”. Che cosa vuol dire: “Salire a Gerusalemme?”. Nella Bibbia ci sono i Salmi di ascensione. Sono i Salmi che i pellegrini Ebrei recitavano quando salivano a Gerusalemme.
Erano Salmi che inneggiavano la potenza di Dio nella casa di Davide e soprattutto riprendevano la Profezia di Isaia, per cui Dio avrebbe restaurato il suo Popolo sul monte Sion, come luce di salvezza per tutti i popoli.
Gesù sta salendo a Gerusalemme, sta compiendo quello che normalmente i pellegrini facevano andando a Gerusalemme per compiere la profezia di Isaia, per vedere finalmente riconosciuto il suo titolo di discendente di Davide. Non si tratta di sottolineare il salire come passare dal basso all’alto. Non è questo il senso. Gesù sale a Gerusalemme per ricevere l’investitura come promesso da Dio e per portare a piena magnificenza la promessa di Gerusalemme, luce di tutti i popoli. Questo è ciò per cui Gesù è stato mandato.
Adattata alla figura di Gesù l’ascesa a Gerusalemme incrocia l’annuncio che Gesù stesso ha fatto ai suoi discepoli: “Il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi”, cioè a coloro che conoscevano benissimo la Profezia, i Salmi, il culto, quindi avrebbero dovuto riconoscere che era mandato dal Signore. Lo condannarono a morte. Lo consegnarono ai Pagani affinché venisse deriso, flagellato e crocefisso. Gesù, il discendente di Davide? I sacerdoti lo consegnarono ai Pagani perché venisse deriso, flagellato e crocifisso. E’ scandalosa la cosa! Il terzo giorno risorgerà. Noi veniamo dopo la Resurrezione di Gesù e diciamo “risorgere” nel senso di “sorgerà di nuovo”. Il testo, però, non è stato percepito così dagli stessi discepoli di Gesù prima della Pasqua. L’episodio dei due figli di Zebedeo, la cui madre chiede a Gesù che i suoi figli siedano alla destra e alla sinistra di Gesù dopo l’ascensione a Gerusalemme, collega l’ascensione a Gerusalemme alla risurrezione nel senso che Gesù a Gerusalemme avrebbe regnato ed essi desiderano essere con lui. Il “risorgere” di Gesù è visto come esaltazione dopo la passione. Dove sta allora la volontà di Dio? Essa appare come fraintesa e solo Gesù la conosce veramente. Anzi la volontà di Dio diventa motivo per perseguitare Gesù stesso, inteso come bestemmiatore.
Come possiamo capire questa cosa? Gesù ci dà questa indicazione. Gesù dice «Non sia così tra voi… Chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi sarà vostro schiavo… Il Figlio dell’uomo non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti…».
Questa è la volontà di Dio. Questo è il luogo della beatitudine, questa è la Santità. La figura del Don Rubbi è stata spontaneamente vista così. Questo prete è qui per dare la vita agli altri, perché arrivino al Signore, perché stiano bene, incontrando il Signore, si vogliano bene. Egli ha fatto semplicemente il prete di campagna, totalmente dedito alla sua gente e totalmente dedito al Signore. Questa è la condizione dell’umiltà e del servizio che testimonia l’amore e permette di non fraintendere ciò che rende beata la vita e permette anche di denunciare coloro che in nome di Dio impongono qualcosa che non corrisponde alla volontà di Dio.
L’atteggiamento di costante conversione, di costante ascolto della Parola di Dio, di profonda umiltà e di profondo servizio agli altri è una condizione che permette all’amore di Dio di manifestarsi in noi. Quanto più noi siamo deboli, tanto più forte è l’amore di Dio. Può succedere, altrimenti che coloro, che per professione dovrebbero riconoscere la volontà di Dio, perseguitino il Profeta, uccidano il Figlio dell’uomo, credendo magari di far cosa gradita.
Questo è il messaggio che la Parola di Dio dà in modo forte. Noi non dobbiamo essere sicuri di noi stessi, se non nella fede dell’amore di Dio impegnandoci a trovare veracemente in noi questo desiderio, servendo gli altri e mettendoci al loro servizio. Non perché gli altri stiano bene, ma perché gli altri capiscano che lo star bene è amare Dio e amare il prossimo. Questo è lo star bene.
Tutti devono sperimentare che il vero benessere è l’amore di Dio che si manifesta nel servizio e nell’amore per gli altri.
Sorisole, 15 marzo 2017, 232° anniversario della morto del prevosto don Giovanni Antonio Rubbi