Omelia di Monsignor Davide Pelucchi, Vicario Generale, tenuta il 29 settembre 2010, in occasione della sua visita durante le celebrazioni del 225° anniversario della morte di don Antonio Rubbi.
Durante l’offertorio noi sacerdoti recitiamo una preghiera sotto voce: “Umili e pentiti accoglici, o Signore”. L’umiltà è la virtù che rende grande un prete e che rende potente il suo ministero.
Per il Curato d’Ars l’umiltà era la prima delle virtù e la base delle virtù. La paragonava a una bilancia: “Più uno si abbassa da una parte e più viene elevato dall’altra”.
Si racconta che un pellegrino avesse chiesto al santo quale fosse la prima delle virtù. Rispose: “E’ l’umiltà”. “E la seconda?”. L’umiltà”.” E la terza?”. “L’umiltà”.“Signor curato – gli chiesero – che cosa bisogna fare per essere saggi? Rispose: Amico mio, bisogna amare Dio. E come fare per amare Dio?Umiltà. Umiltà. E’ il nostro orgoglio che ci impedisce di diventare santi”.
L’umiltà è la regina di tutte le virtù
L’umiltà non esclude la gioia e la soddisfazione dei beni che si posseggono. Aiuta a non attribuirli a se stessi, ma a Dio. L’umiltà è la regina delle virtù. E’ la virtù che ha reso grandi tutti i santi.
- E’ la virtù che ha reso grande Maria: “Il Signore ha guardato l’umiltà della sua serva”.
E’ la virtù che Gesù ha chiesto di imitare in lui: “Imparate da me che sono mite e umile di cuore”.
È la virtù che ha reso grande don Antonio Rubbi. Ce lo ricorda il Vangelo di Luca di oggi: “Ecco davvero un israelita in cui non c’è falsità”. Potremmo dire: “Ecco davvero un prete in cui non c’è superbia”.
Il contrario dell’umiltà è la superbia
Il contrario dell’umiltà è la superbia. Essa consiste nella pretesa dell’uomo di avere autonomia assoluta sul bene e sul male. Non consiste nel desiderio di diventare “grandi”, ma nel presumere di ottenere tale grandezza con le proprie forze. Gli atteggiamenti provocati dalla superbia sono:
- il risentimento: nasce quando ci arrabbiamo perché gli altri non ci hanno dato la stima che ci aspettavamo;
- la vanità: si esprime in una esagerata stima di noi stessi, nell’attribuirci virtù che non abbiamo o nel vantarci di quelle che possediamo;
- l’ipocrisia: nasce quando mentiamo per far apparire noi stessi migliori di quanto siamo in realtà;
- l’arroganza: nasce quando sentiamo tutto come dovuto e non ringraziamo di quanto riceviamo;
- la permalosità: si esprime quando ci offendiamo facilmente a motivo di una critica o di una osservazione;
- il disprezzo: si manifesta quando disprezziamo la vita altrui, sottovalutiamo la loro bontà o ingigantiamo i loro difetti.
L’uomo dominato dalla superbia
- raramente loda
- volentieri critica
- difficilmente domanda
- difficilmente ringrazia
- difficilmente riconosce la propria colpevolezza.
1. Primo significato: l’umile è colui che tutto si aspetta da Dio
L’umile è colui che tutto si aspetta da Dio, che tutto sente come dono, come grazia. L’umile è colui che sa ringraziare perché legge l’intera sua esistenza senza pretese, ma sorretta dall’amore provvidenziale di Dio, che sempre provvede al suo bene. Modello di questo è stata Maria.S. Bernardo, in una predica sulla Madonna diceva:
“Essa è davvero piena di grazia poiché è interamente gradita a Dio, agli angeli e agli uomini. Agli uomini lo è per la maternità; agli angeli per la verginità; a Dio per l’umiltà”.
Nel film su San Tommaso Moro Un uomo per tutte le stagioni, si racconta l’episodio di Rich, un giovane ambizioso, che sognava un posto alla corte di Enrico VIII. Tommaso Moro gli propose di fare l’insegnante. Lui gli disse: “Chi lo saprebbe?”. Tommaso gli rispose: “Lo sapresti tu, lo saprebbero i tuoi alunni. Soprattutto lo saprebbe Dio”.
2. Secondo significato: l’umile è colui che vive nella verità
L’umiltà è la virtù che cura la verità del nostro agire, che non cerca la rappresentazioni enfatica di sé, ma la verità di sé. La persona umile non finge. Non deve cercare di apparire meno importante e brava di quello che è, né più importante o più brava. Essa non sa neppure bene quali sono le qualità e le sue risorse; attende di scoprirlo attraverso il rapporto franco con i suoi simili. Una vita recitata noi la chiamiamo ‘ipocrita’. Se l’uomo recita davanti agli altri uomini, corre il pericolo di recitare anche davanti a Dio, diventando incapace di conoscere e di convertire quello che è ‘dentro’.
3. Terzo significato: l’umile è colui che serve
Gesù ha insegna l’umiltà invitando a servire:
“Chi è il più grande tra voi diventi come il più piccolo e chi governa come colui che serve… Io sto in mezzo a voi come colui che serve” (Lc 22,25-27).
Ha insegnato l’umiltà raccontando una parabola.
“Quando sei invitato va’ a metterti all’ultimo posto, perché venendo colui che ti ha invitato a cena ti dica: Amico, passa più avanti. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato”.
Il posto al banchetto simboleggia il posto nella vita. Gesù è il modello dell’umiltà. Egli ha scelto l’ultimo posto nella vita. Si è fatto servo di tutti. Si è umiliato. L’umiltà è la verità di Dio: un Dio che in Gesù si è umiliato facendosi servo, facendosi piccolo, facendosi debole, facendosi sottomesso. L’umiltà è la verità dell’uomo: in tutto si riceve da Dio, in tutto è sorretto da Dio, in tutto è salvato dall’amore di Dio. I santi che hanno capito l’umiltà di Gesù l’hanno poi praticata loro e insegnata ai loro discepoli.
Don Antonio Rubbi (1693-1785)
A 92 anni, dopo essere stato per 45 anni parroco di Sorisole, don Antonio Rubbi lasciò questa terra. Lasciò un ricordo vivissimo della sua bontà d’animo e santità. Quando si celebrò un mese dopo il trigesimo della sua morte, qui a Sorisole vennero celebrate 70 messe in un solo giorno. Il 10 ottobre 1727 don Rubbi divenne parroco di Monte di Nese, dove rimase per 13 anni. La fama della sua santità si accrebbe.
“Non curante degli onori e delle lodi degli uomini, non altro aveva in cima dei suoi pensieri, che il piacere a Dio e guidare a salute le anime da lui commesse… Non pareva vivere che per il bene del suo popolo” (p. 6).
Il suo successore, don Giovanni Maria Tiraboschi, nell’elogio funebre, disse:
“Il monto reverendo don Giovanni Antonio, reputatissimo per innocenza di costumi, per austerità di vita, per gravità ecclesiastica, per umiltà d’animo…”.
L’allora vicario generale di Bergamo, mons. Giuseppe Rovetta, così relazionava al vescovo di Bergamo, mons. Antonio Redetti:
“Il prevosto di Sorisole era severissimo nel suo modo di vivere: il dormire brevissimo, sopra un asse con un poco di foglie di albero; si levava a mezzanotte per recitare il mattutino e per fare una più lunga orazione; il suo cibo è parco e grossolano e consiste per lo più in erbaggi…”.
Dalla nostra terra bergamasca sono uscite figure spirituali grandi perché hanno respirato la spiritualità di sacerdoti santi.
La sera dell’11 ottobre 1962 Giovanni XXIII si affacciò alla finestra del suo studio e improvvisò un discorso di saluto. Disse: “Tornando a casa date una carezza ai vostri bambini e dite che è la carezza del papa”. Queste parole divennero famose. Occorrerebbe ricordare anche quelle che aggiunse: “La mia persona non conta niente, è un fratello che parla a voi diventato padre per volontà di Nostro Signore”.